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Cosa resta delle Risorse Umane quando l’Umanità si evolve?

Aggiornamento: 8 ago 2023

Oggi si parla tanto dell’uso dell’intelligenza artificiale nei processi HR, con domande del tipo: possiamo spingerci fino al punto di demandare totalmente a delle macchine il processo di #selezione?

Questioni sfidanti, certo, a patto che non si perda di vista il fatto che questa rivoluzione digitale oltre ad essere una rivoluzione tecnologia è anche un cambio di paradigma mentale, come lo fu, per esempio, l’introduzione della democrazia ad Atene.

Se emerge un nuovo modo di leggere il mondo e agire di conseguenza, totalmente nuovo da quello che poteva essere la mentalità del secolo scorso, è chiaro che i tool tecnologici sono sì interessanti, ma lo è ancora di più capire cosa contraddistingue questa nuova “civiltà” e come, per chi si occupa di HR, è possibile intervenire “svecchiando” alcune pratiche che ci portiamo dietro da decenni.

Cosa caratterizza, quindi, questa nuova umanità?


La domanda è lecita se partiamo dal preupposto che oggi le persone non desiderano solo un lavoro, ma desideano che sia un lavoro significativo per loro.

Mi vengono in mente un paio di temi sui quali si può costruire un ragionamento:

  • il fatto di abitare contemporaneamente in uno spazio a più dimensioni, quello fisico e quello digitale, che si sviluppano velocemente in un “iperspazio” non lineare, fatto di link mentali continui tra un ambiente e l’altro, tra ambiti diversi e a volte assai distanti (non so perché ma mi viene in mente la classica riunione dove lo sguardo basso e il dito che scorre aprono porte verso mondi lontani)

  • il forte bisogno di dare un senso ad un viaggio, che è la nostra vita, fatto su una linea ad alta velocità che non lascia molto spazio alle previsioni, ma finché ci siamo sopra quel Freccia Rossa, vogliamo quantomeno divertirci.

In questo mondo sempre più veloce e digitale c’è un bisogno che emerge con forza: la possibilità di continuare a sentirsi umani.

Stretti da ritmi frenetici e cambiamenti veloci abbiamo un bisogno estremo di abitare setting che consentano agli uomini di essere “comodamente” umani. Può sembrare paradossale ma a mio avviso è un bisogno crescente e vale soprattutto nei contesti organizzativi.

Cosa ci dice questo delle prassi HR?


Non ho grandi risposte, ci mancherebbe, ma mi viene da pensare che il ruolo degli HR manager sia, oltre che quello del change agent, anche quello del costruttore di significato e di umanità nelle organizzazioni.

Da un lato, mi riferisco alla capacità di stare nella relazione, di creare rapporti improntati sulla fiducia, di saper comprendere e farsi comprendere da un lato.

Dall’altro, all’introduzione di competenze comunicazionali diffuse, di pratiche di coaching e di counseling, di una cultura organizzativa aperta all'empatia e adatta a preservare questo senso umanità, piuttosto che etichettarla come “non più funzionale”.

E in finale, l’abilità di evitare un approccio duale che vede questo bisogno di umanità contrapposto alla rivoluzione digitale. Paradossalmente, ancora una volta, è possibile utilizzare sistemi IT che semplifichino i processi HR, basati sulla gamification (quale bisogno è più umano di quello del divertimento?) e che usino lo stesso setting al quale ci siamo abituati grazie ai social e alle app.

Certo, ci sono molti possibili rischi, ma lo sforzo di utilizzare questo stesso “linguaggio” quotidiano verrà più che ripagato in termini di efficacia.

Un esempio su tutti: abbiamo parlato di costruzione di significato, di competenze comunicazionali, di fiducia, di pratiche HR e strumenti digitali…una possibile applicazione di tutto questo può essere la diffusione del business coaching a distanza, per dirne una. Veicola e sprigiona umanità, attraverso una modalità più accessibile del coaching in presenza. Per chi vuole approfondire, Bonsay è una possibile soluzione.

Certo, alcune cose si perdono nella “digitalizzazione” (ma altre qualità si guadagnano) e ci sono sempre possibili rischi da gestire, ma il punto qui è che a queste modalità possono avere accesso anche fette di popolazione aziendale che altrimenti non avrebbero la possibilità di poter beneficiare del coaching (per motivi di costo, di tempo, di sede di lavoro,…). Si pensi solo al vantaggio di avere competenze di coaching diffuse nella propria popolazione aziendale e a come questo potrebbe incidere a rendere più “umano” il posto di lavoro, spesso freddo e ostile.

Sicuramente sono possibili molte altre applicazioni: occorre sempre più pensare a sistemi HR che aiutino le persone a sentirsi umane e che siano più dinamici, più accessibili, divertenti e non lineari, come il web e come le nostre menti.

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