Molti di noi sono cresciuti credendo nella “profezia”: sii bravo negli studi, prendi una laurea “seria” e poi trova un’azienda che ti assuma per sempre. E questo non faceva una piega ai tempi dell’economia industriale.
Oggi siamo però in un’altra economia, quella della conoscenza, e si allentato questo legame forte tra una persona e il suo lavoro. Per questo, gli employees si rendono conto che le regole del gioco nel mercato del lavoro premieranno sempre più coloro che puntano ad “essere” il miglior professionista possibile, piuttosto che “avere” un lavoro il più sicuro possibile, il più a lungo possibile.
I contesti di lavoro diventano in quest’ottica delle “palestre” per rafforzare le proprie competenze o acquisirne di nuove, e per avere possibilità formative o reddito sufficiente per formarsi e crescere ancora di più.
In questo senso i sistemi aziendali di people development devono cercare di motivare i collaboratori individuando e favorendo i loro fabbisogni di sviluppo fin dalla fase di assunzione.
In fase di colloquio mi capita di sentire, affianco alle tradizionali domande “qual è lo stipendio?” o “che ruolo avrò?” (l’“avere”), anche interrogativi sul piano formativo previsto e sulle possibilità di crescita e di apprendimento (l’”essere”).
Anche se l’idea può piacere parzialmente a chi si occupa d HR, e specie in riferimento ai ruoli più ricercati e ai professionisti di maggior talento, occorre accettare l’idea che anche le persone selezionano le organizzazioni, e in contesti di crisi possono tendere ad essere maggiormente selettive per massimizzare la carriera nel lungo periodo, piuttosto che accettare subito un’offerta per rispondere ad un bisogno nel breve.
La buona notizia è che in questo processo di selezione reciproca, si può definire fin dall’inizio un patto di employment concreto, fatto da apprendimento e percorsi di crescita nel ruolo, che può consentire all’individuo di acquisire quella sorta di “assicurazione” nel mercato del lavoro che è fatta dalla sua professionalità sempre più tonda, e all’azienda di vedere la performance aumentare di valore.
Vista dall’altro lato, ci piacerebbe assumere chi ha scarsa aspirazione di crescita? (Certo, dipende dai ruoli ricercati, ma faccio fatica a immaginare anche il più ripetitivo dei lavori continuare allo stesso modo per i prossimi 10 anni).
Ragionare sempre più in quest’ottica può aiutare chi progetta i sistemi HR a trattenere e motivare a meglio i collaboratori, come tra l'altro è emerso quando, sempre in questo blog, ho affrontato il tema della selezione nel Gruppo Hera, tra più grandi organizzazioni di #Bologna.
“La vita non è un avere e un prendere, ma piuttosto un essere e un diventare” - Mirna Loy, un’attrice statunitense
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